Descrizione
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Il primissimo giorno che ho trascorso a fotografare Roma (era il caldo settembre del 2007), il mio assistente mi portò al Testaccio per mostrarmi il vecchio mattatoio. La zona era quasi completamente abbandonata, abitata da barboni e da cani affamati, e stava iniziando a soccombere alla gentrificazione, ma non era difficile immaginarsi le viscere che scorrevano giù per i canali di scolo e i lamenti e i muggiti delle bestie. L’assistente, che era un astuto musicista oltre che uno chef, mi raccontò come la cucina romana sia definita “Quinto Quarto”, nome che deriva dal cibo che gli operai del macello portavano a casa, interamente composto da elementi di scarto dell’animale. Da ingenuo americano in visita per la prima volta in una capitale europea fui molto colpito dall’umiltà di questa descrizione, che mi ricordava come questa fosse una città di gente che lavorava, e che si trascinava tra gli affascinanti strati di reperti storici. Rimasi inoltre affascinato da quanto il concetto di “Quinto Quarto” fosse importante per il mio mestiere di fotografo, che è sempre stato mosso dal mio forte desiderio di guardare attraverso l’iconografia culturale corrente e di vedere ciò che in teoria non dovrei vedere. […]
Quinto Quarto è il mio nuovo paradigma come artista: si tratta più di una serie di pezzi che di UN’OPERA UNICA, e mi ha permesso di giocare e provocare come non avevo mai saputo fare da fotografo. Sono grato per questa opportunità. Tim Davis
[:en]On the very first day I ever spent photographing in Rome — a white-hot September in 2007— my assistant took me to Testaccio to show me the old slaughterhouse. It was largely abandoned, peopled by squatters and grinning dogs, and starting to succumb to gentrification, but it wasn’t hard to imagine the viscera flowing through the gutters and the wailing and lowing of livestock. This assistant, a clever musician and chef, told me how Roman cuisine is described as “Quinto Quarto,” named for the food made by stockyard workers who took the unwanted parts of the animals home to their families. As a starry-eyed American living in a European capital for the first time I was touched by the humility of this description, reminding me that this was a city with working people stumbling through its glamorous historical strata. I was also struck by how relevant “Quinto Quarto” felt to my photographic practice, which has always been driven by a strong desire to look through accepted cultural iconographies and to see what I’m not supposed to see. […]
Quinto Quarto is a new paradigm for me as an artist: a series of pieces rather than a BODY OF WORK, that has allowed me to play and provoke in ways I haven’t always been able to as a photographer. I am grateful for the opportunity. Tim Davis[:]