Elisa
Montessori
— Genova, 1931
Disegnatrice e pittrice con Mirko, Afro, Cagli, respira nella capitale l’aria di un rinnovamento artistico, che inizia nel 1951 col “Manifesto del Gruppo Origine” di Burri, Capogrossi, Colla, nel solco di un ritorno al primordio junghiano. L’esoterico e lo spirituale sono l’eco che Elisa, nel suo profondo esistenzialismo, sente di più. Attraverso le sperimentazione tecniche, su cui forgia i suoi inizi con Mirko, l’incisione, la tempera all’uovo, il mosaico, l’oreficeria, lo sbalzo, esce dolce e sommessa la sua voce, che s’inclina ad ascendenze orientali, dopo l’incontro con la cultura cinese. L’Oriente per lei diventa maestro di vita, anche quando negli anni ’70 segue le tendenze minimal, con un infittirsi e diradarsi di un segno netto, nero sul bianco della carta. Arriva allora alla sintesi della linea unica di Orizzonte per poi tornare alle pitture d’intenso colore dell’Ukyo-e (il disegno del mondo fluttuante).
Partecipa nel 1982 alla XL Biennale di Venezia con la serie de “La Montagna di Seghers”: grandi carte intelate su cui esegue, sulla scia del maestro olandese del ‘600, con carboncino, gessi, e pastelli colorati, segni che suggeriscono paesaggi, come nelle pitture cinesi i bordi suggeriscono le nuvole. In Haiku un dittico del 1986, come in Giardino del 1990, l’influenza orientale è netta, profondamente pensata nelle pause dei bianchi e nelle apparizioni dei colori forti e solari. Prosegue in gran formato la serie dei fiori nei gigli in bianco e in nero di Casablanca (1998)e nei giardini, che negli anni interpretano in trasparenza il suo mondo naturale, Campi Elisi, 1994, Fiori di Mackintosh (1998), fino al ritorno del mosaico, che incide con forza sui colori e allude ad un ché di barbarico e islamico, che nella sua arte è nuovo.