Lisetta Carmi si approccia alla fotografia come strumento di impegno politico e come mezzo di incontro con gli altri, firmando reportage di do cumentazione e denuncia sociale. Il suo interesse si concentra sin da su bito sulle condizioni di certe fasce sociali emarginate della sua città di appartenenza, Genova.
Introdotta da un amico ad una festa di capodanno nel 1965, ha il suo primo contatto con la comunità transessuale a cui comincia ad interessarsi e fotografare. Ne nasce una profonda ed assidua conoscenza, che diventerà poi solo nel 1972 un libro che scandalizzerà l’Italia benpensante per le sue immagini dirette e immediate.
Durante un periodo di quasi sei anni, Carmi si spinge infatti fino a tra sferirsi nel quartiere considerato il ghetto dell’omosessualità. Ne vivrà quo tidianamente le vicissitudini, concentrandosi sulle loro vite, indagandone la realtà con l’intento di conoscerli, proteggerli e difenderli e scoprendone le sofferenze, l’emarginazione, le violenze e gli arresti e sviluppando un forte senso di appartenenza e solidarietà con so etti delle sue fotografie. Attra verso le sue fotografie, racconterà infatti anche le profonde contraddizioni di una società borghese e bigotta, pronta a condannare l’omosessualità ed il travestimento come una “devianza malata” e allo stesso tempo intenta a rap presentarne i clienti stessi dell’attività di prostituzione.